C’è una solitudine che mi prende spesso prima di imbarcarmi in aereo per un viaggio, legata al mio terrore di essere in volo, che parta da solo o in compagnia. È uno stato buono a nulla, puramente vuoto e non proficuo alla nascita di alcun sentimento di unione col mondo, perciò anche questa nota è zero. O forse, paura. Domani per due ore e mezza sarò un volo verso il mare del Nord e stanotte sentirò crescere più forti ai piedi le radici che mi verranno strappate dal suolo. Dormirò male pensando all’impossibilità di respirare sopra le nubi, oltre le Alpi e sui fiumi, fino ai canali di una città medievale che oggi va in bicicletta, ricorda una bimba che scrisse un diario e un infelice morto senza un orecchio. Faccio parte delle persone che conoscono la solitudine formosa, ma non è quella di stasera. E lo scrivo ora, programmando l’uscita del post a quando sarò ancora lontano e analogico, in viaggio senza potermi connettere, né volerlo fare. Sarà la mia scia, visibile in dolce differita come una lettera d’altri tempi. Una volta, sentendo l’annuncio dopo l’atterraggio – fate attenzione quando aprite le cappelliere sopra di voi – ho immaginato che tutti i trolley e gli zaini dei passeggeri attoniti si fossero trasformati in cappelli, dando finalmente ragione al nome di quegli scomparti. Io, quando viaggio, lo porto sempre il cappello. Ce l’avrò anche in questo momento, che sarò disperso in qualche stradina coi piedi per terra e il naso all’insù, dove si può respirare. Tutto.
Mi piace ciò che scrivi e non condivido alla maniera antica, primordiale e premediale… ché invece potrei anche condividere qua o là o chissà dove — dove condividere non significa condividere. Ma che fatica stare al passo coi tempi e che sollievo volare sopra le nuvole liberi e senza connessioni
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propongo di sostituire il verbo “condividere” nell’odierna accezione col più simpatico “rimbalzare”, e lasciare alla antica maniera il senso più bello del termine che, felicemente, qui non si applica a te 🙂
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