Come a noi piace il canto degli uccelli che fanno casa sui rami alti delle ville, forse a loro, a questi esserini del cielo, piace sentire noi quando parliamo. E solo per un banale equivoco l’uomo canta pensando di farsi prossimo al cielo. Perché quando ascoltiamo il canto degli alati è solo in realtà il loro linguaggio corrente, quello che usano per dirsi le cose, senza sapere che a noi si dà in forma temperata. Così è forse il nostro suono specifico, il nostro semplice dire, come di due amici che parlano scavando il tramonto, che più affascina i vivi sugli alberi; e non il canto – per quanto “naturale” – che gli giunge come nostra imitazione storpia del loro suono azzurro. Questa ipotesi, che nessuna scienza potrà mai scartare del tutto con prove o interviste ai diretti interessati, per dire l’inconsumabile sorpresa della famiglia di cui siamo parte, e di noi stessi.
Mese: luglio 2016
Tu non sai amare
Tu non sai amare terre da cui vengo, dove la morte pare un segreto di cui andare fieri come un battesimo che dal dolore trae continui presagi di rinascita ma si contenta più spesso di viverla in sogno. Tu non sai amare terre da cui vengo, dove più che altrove è facile incontrare profeti che ballano la lingua sacrilega del kairòs, la risposta inaudita al sangue che pare inarrestabile. Ma sono famiglie impertinenti al disamore, musici al silenzio: impertinenti, ospiti all’odio per lo straniero e maestri alla tradizione; morti di fame impertinenti alla disonestà e al sonno, anime vive.
Finestre
Una finestra su un fiume non sarà mai come una finestra sul mare: il canto dei grilli e la simbologia del tempo non basteranno, e neanche il vento che usa gli alberi per imitare il battito della riva. Una finestra su un fiume raccoglierà l’aria che scende a valle dalle guglie rocciose e porta odore di erba e fieno sotto le stelle, mormorio di un paesaggio che torna proprietà unica delle bestie, esempio della convivenza antica fra tutti gli esseri della terra. Una finestra sul mare vive di correnti che doppiano la speranza prima di toccare l’orecchio teso alle voci dei naufraghi, lamento incessante e respiro del cosmo che si rivolta nell’acqua salsa con una violenza che ai sogni degli asciutti distilla ninnananne. Una finestra su un fiume è una e una sola, su quel fiume. Una finestra sul mare misura invece da cardini diversi lo stesso sprofondo.
Un segnale
Alziamo gli occhi per guardare il cielo
ma nello spazio fra noi
entrano più stelle
di quante per l’ultima volta
brillarono fra le galassie
diversi milioni di anni lontane.
Nebule da decifrare gli sguardi nostri
al fronte di nuovo,
una luce a volte si supera
e rompe il vuoto dando all’altro
un nuovo segnale
dalla galassia antistante: ci sono ancora.
Il giorno del Signore ti ha fatto
con un fiore di campo
e ti ha messo la luce nel nome,
quella che solo in montagna
batte serena i sentieri
e non mi scaldava da anni.
Non rimanere tra le guglie di roccia
e le vie d’acqua
che tagliano i boschi,
se solo sapessi il potere che hai
di trasformare la vita
potrei finalmente sentirmi a casa.
Formiche
Finché sui giornali usciranno le brutte storie vorrà dire che ancora saranno loro l’eccezione, secondo lo stesso principio per cui un cane che morde un uomo non è una notizia, mentre un uomo che morde un cane lo è, una notizia, mi dice l’albero per farmi stare tranquillo. La resina però oggi non smette di cadere e incolla le formiche una sull’altra, mentre le compagne cercano di non distrarsi dalla fila e rincasare per tempo. Non ho mai sentito di una formica che uccide un’altra formica. Anche questa sarebbe un’eccezione.