Volendo esagerare è passato un anno. Un anno fa ho aperto questo diario dandogli titolo e licenza di esagerazione, per invitare il lettore a guardare oltre il modo inconsueto o la consapevole parzialità con cui posso esprimermi e indirizzarlo al punto che c’è sempre dietro, sia esso il tema proposto o solo l’arrangiamento del verbo che lo compone o, come sogno sempre, l’intreccio compiuto fra i due elementi. Esagerare è un tratto tipico dei meridionali, dicono; nel mio caso, una dichiarazione di appartenenza. Pensando poi che è già passato un anno dal capoverso iniziale, capisco che il primo esageratore – perciò, meridionale anche lui – l’esageratore per eccellenza, sì, è il tempo, che produce mutamenti anche in realtà stimate immobili, cura ferite che nessun medico può, macina lustri che paiono giorni, veste di secoli pochi mesi cruciali, esiste però non c’è mai – sempre lontano, dietro le spalle o già oltre il colle. Ma il tempo, come si è detto, è figlio del Sud, è mio fratello e per questo, dalla sua eterna distanza, mi scrive ogni giorno una cartolina dicendo che gli manco da morire, che non può stare senza me, che non possiamo incontrarci a metà strada e se non mi raggiungi, ieri o domani, mi tolgo di mezzo, non rispondo di me. Il solito esagerato.