Il giardiniere gentile

Il primo libro che ho già letto quest’anno nuovo di soli due giorni è Il giardiniere gentile di Silvia Salvagnini (Verbavolant edizioni). Dice in forma poetica i suoni del giardino e il giardino dei suoni incrociando le magie del giardiniere e quelle del direttore d’orchestra, musica della natura e natura della musica. I più attenti potranno dire che parla del tempo, che pur passando conta zero se fa da principale seme ai buoni frutti. Il libro è un piccolo oggetto delicato a forma di busta da lettera, una lettera che non sarete mai in ritardo a spedire alle persone a cui volete bene. Per questo, se avrete la fortuna di riceverla come è successo a me, non dovrete rispondere grazie, ma: anche io. Il tempo e la musica e la natura li ho visti poi ieri mattina, nel viso del celebrante influenzato che diceva messa alle Croci. Nella voce fiacca che porgeva le sue parole sempre essenziali, spoglie, ho soppesato la precarietà dell’esistenza. Come due piatti di bilancia favolando, i miei occhi sentivano il peso del suo corpo che d’improvviso cadeva a terra precipitando con la gravità accentuata delle cose inanimate, mentre io vedevo quasi uscire l’uomo dall’involucro che il soffio vitale non fa mai sembrare tanto di piombo. Può succedere da un momento all’altro, mi sono detto. Ora cade, no: ora! Ecco, adesso, cade in mezzo a questa frase, in braccio al sagrestano. Ma non cadeva e il miracolo era semplicemente questo, non cadeva. Il tempo dura finché lui non cade, mi sono detto; la vita è una partitura scritta su questo miracolo del non cadere gravi come sassi; i cicli della natura hanno un suono e un silenzio pronti ogni giorno al tuo ultimo respiro. Allora ho pregato per lui e per me insieme, le nostre parole corrispondano davvero alla carne di ciascuno miracolosamente in piedi. Non siano parole generiche, miracoli sprecati, ma storiche, figlie del tempo, traduzioni inaudite di una luce ancora accesa.

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