Profezia

Oggi ho capito che l’unica possibilità rimasta davvero alla scrittura è la profezia. Se il passato remoto ormai interessa a pochi e il presente – come anche il passato prossimo – è solo un colabrodo di fuochi incrociati, alla letteratura non resta che il futuro. Un futuro inedito, non inteso alla Jules Verne, privo di scheletro fantascientifico. Un verbo che eserciti le sue desinenze accentate al modo profetico. In questo tempo di guerra all’ultima smentita infatti – smentita mediatica, politica, religiosa, relazionale – la sola torre inespugnabile rimasta è la vita futura, col suo gradiente rovesciato di inattualità che recuperi la distanza dal presente tipica delle vere opere d’arte. Nessuno può ancora dimostrare il contrario sulle sicure visioni che parlano di come saremo, per moto di allarme o di speranza, ma ancora vivi.

4 pensieri su “Profezia

    1. Ho evocato il termine profezia proprio per fugare un’idea di futuro come rimozione del presente. Per questo ho specificato la diversità tra il futuro di cui parlo qui e quello della fantascienza, bene o male definito come genere di evasione. Il connotato biblico del profeta, infatti, è quello di spostarsi in avanti, non per fuggire la vita attuale né per viverla male all’insegna di una futura minaccia, ma per illuminare il presente di una luce diversa che lo rende autentico, una luce che forse deriva dal marchio di “senso della fine” che porta con sé l’attività profetica e ri-significa l’attualità in cui troppo spesso ci vediamo schiacciati o con gli occhi parati.

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