I destinati si incontreranno nella città che ha una porta Felice davanti al mare, da cui sale un asse arabo fino ai monti che, intorno a lei di spalle, fanno della città una conca vigilata dal promontorio più bello del mondo, il Pellegrino, che ha la forma di un cane a cuccia. Gli arrivati dalle acque si chiederanno sempre se dorme e un giorno si alzerà per andarsene, la bestiola di alberi falchi e santa rocca degli appestati, o se invece aspetta come Argo senza sognare altro a occhi aperti che il loro confluire dagli antipodi della sfera vivente. Nessuna pioggia di inizio primavera darà sconforto alle attese di luce che li muoverà dalle loro solitarie cune alla cala comune di tutto porto. Una fiducia, quella dell’onda impetuosa che si lancia a riva senza tema di morire infranta o assorbita, ma certa di traboccare in marea nel petto di chi guarda l’orizzonte; una fiducia ha già vinto qualunque paura della vita che li attende passando quella porta: Felice.