Il sole bussa alla portafinestra e fa entrare in cucina le api che volano a cercarmi fiori intorno alla testa, il miele d’autunno è finito ma loro non sono venute per me. Dicono, siamo scappate dai calabroni sul glicine, appena lasciata la casa di cera per trasformare l’oro in primavera (ieri mi hai detto la vita è promessa di vena in miniera). Presto anche noi voleremo sull’onda colore del vino, da questa terra all’altra, isolata da acque metalliche e sale che brucia la faccia alle persone. Sentiremo le loro voci di conchiglia dura alle maree più violente e io avrò un occhio migliore, più forte di adesso, capace di trattenere la pioggia se, partendo di nuovo, una bimba ci parlerà come ha fatto col nonno una sera, chiedendoci ancora un po’ di rimastare.
Che bella l’immagine di vena in miniera. Mi ricorda Rilke:
Era l’ardua miniera delle anime.
Correvano nel buio come vene
d’argento, silenziose. Tra radici
sgorgava il sangue che poi sale ai vivi
nella tenebra duro come porfido.
Poi null’altro era rosso.
https://it.m.wikisource.org/wiki/Poesie_(Rilke)/Orfeo_Euridice_Hermes
Grazie!
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Carissima Daniela,
avendo scritto questo testo in momenti diversi, e il passo tra parentesi tempo addietro rispetto al resto, il tuo collegamento mi sta facendo sul serio dubitare che non l’abbia preso – mesi fa – proprio da questo passo esatto di Rilke. E non lo ricordavo più e, in caso, tu hai colto la mia semina restituendomi il fiore. Grazie, e buona domenica!
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Che bello! Le parole così hanno un senso, quando non solo dicono, ma metacomunicano 🙂
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