L’antenna non decide quale segnale prendere, li prende tutti. Poi, chi ha il telecomando decide quale canale veicolerà tra tutti i segnali l’antenna. Ora, io non so se qualcuno ha in mano il mio telecomando. Ma so che, come spesso rimbalzo qui canali fecondi, questa sera mi sembra di non poter evitare il rilancio di un dolore a cui non so dare il nome. Dolore del mondo, direi al massimo della precisione. Me ne sto fermo e la città fuori dalla finestra mi parla di quanto freddo fa dopo la pioggia, nei vicoli della suburra crepano i barboni, per una stupida febbre o per i calci dei fascisti. Me ne sto fermo e una galleria fotografica di Marilyn Monroe sul Corriere.it mi dice il dolore nascosto dietro quei sorrisi di angelo tradito. Me ne sto fermo e, come le mie colleghe antenne, questa notte sopra i tetti delle città sogno verdi foglie sui nostri rami di ferro. Non voglio più le carezze dei fulmini, non voglio più del vento i segreti. Il dolore quando è tanto, quando è forse del mondo intero che ti sfiora, si traduce tutto nella parola più abbandonata, con l’interrogativo inutile alla fine. Perché? Puoi ripeterla mille volte ma sarà sempre, mille volte sola; come l’antenna, non risolve, non decide lei. Non decide niente.
A volte i perché non servono
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E quando non servono, però, sembrano al contempo inevitabili
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Sembrano, sì. Oggi zuppa di verza. E passa la paura.
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🙂
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