Era normale non sapere di voi. Niente, di voi. Era normale dare acqua al mio giardino di affetti e amicizie soltanto. Incontravo poi uno sconosciuto con cui volevo entrare in contatto? Gli facevo sentire il buon odore dei miei fiori, a scelta dalle aiuole luminose. Nessuno di voi mancava all’appello del controllo quotidiano, non esistevate: non mi interessava sapere come la pensavate sulle cose, se avevate mangiato la sera prima in un locale, o il concerto che aspettavate il mese prossimo, la presentazione in libreria che secondo voi mi interessava, l’articolo assurdo che volevate denunciare. C’erano già la mail e il cellulare – non parlo di carta e penna, per carità – ma era normale usarli per dire a Federico del primo romanzo che avrei tradotto o raccontare a Monica quando sarei tornato per le vacanze. Era normale non sapere di voi. Ora invece mi costerebbe un senso di esclusione dal gioco di tutti e un grande oscuramento della mappa mentale del mondo che da allora mi si è allargata in testa; certo, un mondo pesto di superfluo e atomizzato in algoritmi inodori. Non sarebbe più normale, è chiaro. Ma più vivo e curato, dedicato.