Uscire

Copertina_defPer dire che esageri, le persone usano frasi come stai uscendo dal seminato. Chi ha già interrato nei campi le sue promesse, però, non può che uscire dal seminato, esagerare praticando l’atto di fiducia più grande: se i semi piantati erano buoni, la terra farà il suo per allevare nutrimento. Così, ogni tanto vivo l’eccezione di uscire fuori di me, per non avere come unico orizzonte il mio ombelico e capire se negli altri cresce davvero qualcosa dei sentori che provo a musicare in certe pagine, e in questa selezione per cui ringrazio l’editore Ensemble; e Paolo Di Paolo, per l’interesse e la cura con cui ha redatto un bell’invito alla lettura; e l’artista Elisa Nicolaci, per l’opera in copertina: La XXXVI primavera (con Botticelli), fotografata da Neal Peruffo. Da giugno in libreria, sullo slancio di questo preludio ulteriore.

A due a due

A sommo dell’ascesa pomeridiana, davanti alla ripresa della scrittura per lavoro, si rischiano più agguati nostalgici di quelli messi già in conto per l’aria mite della sera; e capisci che, più di tutto, la differenza tra la giovinezza e la sua coda morente negli anni che bruciano decadi a grappoli è la cifra dei rapporti: prima, pochi e totalizzanti; ora, molti e parcellizzati sui mille tavoli dove hai giocato le tue carte. Ma resta imperitura la luce che scaldava i nostri pomeriggi di confidenze e musica, dubbi condivisi e porte ancora aperte, quando la cura dei rapporti era garantita dal loro limite numerico, dal rilancio fisico sul limite espressivo della cornetta e dal tempo che ci restava ogni giorno, per andare nel quinto mese a cercare insieme ciliegie da appendere alle orecchie, prima di mangiarle. A due a due.

L’ombra di una nuvola

Posso dirti che ieri notte, in balcone, prima di andare a letto ho visto a terra l’ombra camminante di una nuvola, disegnata dalla pioggia che anneriva lenta un’area ancora limitata del cortiletto condominiale. Ma lo definiresti soltanto l’esercizio letterario di guardarmi l’ombelico. Posso aggiungere che il giornalismo è un’accozzaglia sciatta di formulari che stuprano la lingua italiana. Ma resta pure la scrittura che gode maggior ascolto all’esterno, diresti, e più di altre arriva a chi di scrittura non si interessa, certa della fortuna più grande: comunicare all’altro da sé. Sogniamo pure di essere pubblicati su Nuovi Argomenti, rilanciati da Le parole e le cose, recensiti sul domenicale del Sole 24 Ore, intervistati da Fahrenheit sul libro che presenteremo al prossimo Salone torinese. Ma il chirurgo che stamattina ha salvato una vita, uscito dall’ospedale darà un’occhiata alle ultime veline sul Corriere, non al blog del consulente editoriale adorato dagli addetti ai lavori. E non è ignoranza la sua, ma vita vera. Questo dico, aggiungendo solo: prima di coricarsi, il chirurgo, si stupirebbe anche lui nel vedere quell’ombra liquida di nuvola e allora sì che avrebbe il mio dire in cui ritrovarsi. Ecco, la dignità del mio lavoro poggia su un’ipotesi, la fiducia ostinata che un altro da me si continui a stupire.