Una visita

Mettere in pratica un ascolto suscita gioia e movimento. Una ragazza incinta così fa una strana visita: c’è una sua parente assai più anziana, ad Ain-Karem, la zona più lontana del suo paese. La gravidanza è ancora in prima fase, ma il viaggio in carovana per le montagne terrorizzerebbe chiunque. Nulla invece è impossibile alla gioia, e la visita non ha freni: visita della quattordicenne alla cugina, di astronomi ai rifugiati, di genitori alla comunità e poi in proprio, senza più genitori, visita ovunque. Movimento. Le relazioni sono contagiose e la gioia, anche quella fraintesa, viaggia in fretta. Intanto, nel sale dell’attesa rispondente a ogni visita, chi si incontra confida all’altro auspici e intenzioni di cura per il veniente che è già lì. E danza nell’utero in sussulti di chiarezza: adesso il mondo pare un grembo e nella sua forma si capovolge facendo rotolare tutti i criteri del passato. Adesso beatitudine e miseria si cercano con furore di amanti. Da loro nascerà presto un’attenzione nuova, interesse e devozione; occhi di gioia assurda. E così un altro movimento, un’attesa e una visita.

Una fiducia immensa

In questa notte freddissima e serena di lucide stelle, c’è pure il vento che scuote camicie e lenzuola stese negli interni condominiali. Segnali concreti di una fiducia immensa: gli uomini di quelle case le prevedono asciutte entro domani, anche se dal mio balcone adesso è chiaro solo quanto stiano gelando, isteriche di umido. Chissà, forse a pochi metri da quegli orli si effonde un alito di lavanda. Appoggiato a questa fiducia non mia, sposto gli occhi di un metro e il ritmo di due balconi allumati per Natale mi domanda: per quale pubblico speciale si addobbano gli affacci interni dei palazzi? Forse, per chi ha bisogno di mutuare una fiducia, la stessa di quei lavandai che non conosco. Così mi preparo all’innesto imminente nella terra del ritorno, dove proveremo un’altra volta ad accordare le nostre mute alle mute vissute da altri quando noi non c’eravamo. E a un tratto, la fiducia che riusciremo a tradurci la pelle cambiata è tale da sovvertire anche ogni pretesa di canonica bontà: sosterrò il cattivo, se ha freddo e a Natale sogna un po’ di carbone per scaldare l’addiaccio di una ferita. Sarà bello già così, lasciare per qualche giorno la vita senza risposte e nella sua forma più autentica: l’abbraccio di un amico, il sostegno di un fratello.

Geminidi

Questa notte brillerà di meteore, circa cento meteore all’ora, dicono i giornali. Sono le stelle cadenti di dicembre, le Geminidi. Si chiamano così perché sembrano partire da un radiante vicino alla stella alfa della costellazione dei Gemelli. È uno sciame attivo dal 3 al 19 dell’ultimo mese, ma il picco di visibilità si raggiunge ogni anno nel buio fra il 13 e il 14. Detto ciò, come a volte si ha l’impressione che il mondo ci parli, ora io avverto un messaggio diretto a me dall’intero universo. Una conferma sulla vita insieme all’adorata che ho scelto più volte nella mia selva al bivio di turno. Oggi infatti si festeggia la santa della luce, l’anticipo di dodici giorni sul sole invitto che dà i natali all’uomo nuovo. Ed è proprio il cielo di stanotte, il cielo di Lucia, ad accogliere il disordine di stelle che scaturisce dalla mia casa nello zodiaco. Il mistero di Lucia ospita le faville dei Gemelli, le danze nietzschiane nate dal mio caos. E il destino è quadratura di libertà.

Il mio nome

Poco fa, salutando la notte in balcone, ho sentito chiamare il mio nome. L’avrò certo confuso con qualche altro suono, tra i cigolanti carri dei netturbini e le ultime voci di chi rientra a casa dopo una serata alta con gli amici. Subito dopo però, mentre ancora chiudevo la finestra, mi sono detto: eppure qualcuno ci sarà nel mondo in questo momento, proprio adesso, allo stesso buio o già nell’alba di levante e forse ancora nel tardo pomeriggio dell’ovest, che starà chiamando il mio nome. Così è giusto dire che mi sono sbagliato solo in parte. Sì, è anzi più verosimile dell’altro, questo ultimo pensiero che mi sfiora di notte. Qualcuno ora e sempre chiama il mio nome.

Carezza fraterna

Con le nuvole sull’intero paese, questo lunedì mattina somiglia a una domenica notte generosa che ha deciso di allungarsi e diluire il giorno dopo, farlo gentile agli occhi per non abbagliare di violente riprese lavorative la testa che ancora pensa a cosa ho sognato ieri, come risolvere spigoli e dolori che seguitano irrisolti rischiando di diventare scuse, nascondigli per non cambiare mai. La caligine di inizio settimana funziona allo stesso modo: cambia poco la notte da cui esce e pare una tregua del cielo, supplemento che smussa il ritorno alla battaglia; generosa più del dovuto, complice immeritata e perciò molto più efficace, vera empatia, carezza fraterna. Oggi nascondersi è lecito come il sole, è giorno ancora tra due mondi, occasione per vedere le cose dall’alto. Respira, fai il tuo e poi torna a dormire.