Di sangue

Cadono giorni di paura e fitte
nel turchese convalescente,
guardare in faccia il mistero
costa una ferita
da frequentare e domande
aperte per sempre.

Come una beffa la primavera
nasce dalla rugiada
delle tue notti insonni, amore mio
dal sole che ti esce
ora con gli occhi al glicine
gonfio di trauma.

Nell’altalena di fulmini
tra la camera vuota e la cucina
quando ti abbraccio
Dio mi attraversa, dice
la vita è più grande
di un solo giorno di sangue.

Perché noi rimaniamo, amore
come una preghiera
assurda sui crolli al telefono,
il vivo della nostra pelle
e questo magone
che inghiotte tutta la terra.

L’immigrato

Anch’io sono un immigrato e sono fiero di esserlo perché, se posso raccontarlo, significa che sono vivo. Non è stato facile arrivare, non c’era niente di scontato. Niente, fino alla fine. Cercavo condizioni migliori però, non potevo reggere ancora per molto restando dov’ero. Ricordo la difficoltà della partenza, il vincolo che mi tratteneva, la strettoia che ho dovuto passare. Saluti, nessuno: meglio partire senza tante cerimonie. Feci un bel respiro ma alle prime boccate scoppiai a piangere. Tremavo. Mentre ancora muovevo le braccia qualcuno mi lasciò una cicatrice. Guardate, è sotto la maglietta. Per fortuna, trovai subito chi mi accolse avvolgendomi in una coperta calda e pulendomi dalle scorie della traversata. Ormai mi avevano pescato ma credevo ancora di non farcela. Poi, passando da un controllo all’altro della nuova frontiera, fui investito da un odore. Era la pelle della mia nuova casa e mandava un suono che più tardi riconobbi come la mia lingua, la terra madre che madre era sempre stata. Per nove mesi.

Allargando

Se darò mai alle mie canzoni un vestito per pose da album, in almeno una cornice metterò il canto dei grilli nelle notti estive. L’ho pensato ascoltando Serbitoli di Toni Bruna ma, allargando, intanto esprimo qui il desiderio semplice di ascoltare una canzone nuova al giorno, poter essere sempre disponibile al raccolto quotidiano e, allargando, vivere con orecchie aperte pronte e bianche da scriverci sopra le impensate meraviglie degli altri e, allargando, favolare che la mia offerta sia accolta di rimando nei padiglioni sconosciuti delle miriadi umane ancora manco nate ma continuamente sul nascere, adesso come nel mistero del tremila. Potenza maggiore non so immaginarla, di quella nata dal tremolo dei parlanti nelle notti al calore.

Metà sopportazione

Il mare è salato, il sudore è salato. Il mare è il sudore della Terra e aumenta sempre di più: le acque già iniziano a coprire le spiagge nel maggese letale dei ghiacci che si riducono ai poli. La Terra fatica, da madre cerca ancora di contenere il nostro do re mi, ma canterà molto più a lungo di noi: cinque miliardi di anni le restano, finché dura il ciclo del sole che è arrivato a metà. Metà sopportazione. Poi la stella diventerà rossa – l’ho letto giorni fa – e questo granello celeste che ci dà respiro, e noi glielo togliamo, si aggiungerà alla polvere cosmica nelle anse del tempo. Avverrà una domenica perché, una volta iniziato, il conto è reperibile all’infinito. Non ci saranno più uomini a contare, ma sarà certo domenica. Una domenica come questa, il mare annegherà il cuore superstite del deserto africano. E noi saremo finalmente chiusi, completi in una storia fatta di luce solare, terra fin quando ce n’era, vita cosiddetta intelligente e altra ancora migliore: tra le rovine, vita di alberi in fiore.