Anemone

La città d’origine è un richiamo insistente alla continuità delle cose. La città di adozione è un perenne invito all’inizio delle cose. Necessarie entrambe le spinte, la prima può schiacciarti sulle proiezioni altrui se non segni bene i tuoi confini; la seconda può alienarti in frammenti senza storia se non espianti la tua radice per intero. Tra l’eccessiva pressione e il rischio di rarefazione ci sono le onde del mare. La rotta dal Pellegrino al Vesuvio mi regala sempre il necessario, in base alla direzione: navigo a Sud per la densità che mi fa toccare le radici dell’albero; navigo a Nord per la leggerezza che mi fa respirare le foglie dei rami più alti. Questo saliscendi mi garantisce il giusto movimento e la relativa certezza di essere ancora vitale e vivo, presente alle cose importanti: gli inizi e le continuazioni. È faticoso, ma così non ho ancora ceduto al sonno dell’isola e riesco a dare un sapore tutto mio all’anonimato della capitale. Per questo andirivieni, più che avere una direzione precisa o predominante, come si vorrebbe nella retorica adulta delle idee chiare, la mia vita somiglia allo scavo di un solco che ha gli effetti di un’educazione alla veglia. Forse, un giorno, il tentativo di trovare nello stesso luogo anche il dono della geografia mancante non sembrerà più un azzardo. Saprei disegnare i miei confini a Sud o, viceversa, inventarmi una storia profonda a Nord? Stanotte confido nella risposta di un altro, un fiore che nasca dalla mia veglia ostinata, anemone del mare scavato che brilla in attesa.

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