Il giocoliere

Mi sento un gradino poco più in alto del ciccione che chiede soldi palleggiando di testa al semaforo di via Cavour. Ho una laurea con lode, sono iscritto a un albo professionale, ho lavorato regolarmente per un giornale, fatto un master in editoria e da lì continuato un’altra gavetta sui libri, fino a farmi pagare oggi per tradurre romanzi, valutare testi per un’agenzia letteraria, insegnare in più corsi di editoria e privatamente, correggere bozze per piccoli editori, curare libri di altri, pubblicarne anche uno mio. E mi sento poco più in alto del giocoliere che sta al semaforo. Alla mezza dei trentotto, ho fatto pure volantinaggio sotto la pioggia e affisso locandine all’università. Non mi lamento, una boccata d’aria fa sempre bene, visto il lavoro sedentario che ho scelto. Ma da qualche parte nella durata che ho passato fin qui, non ho saputo valorizzare le giuste occasioni – mi ripeto con le mani luride di catena bagnata posteggiando il motorino. Era il concorso Rai, fallito di striscio? Era l’offerta del politico, rifiutata col fiatone? Forse dovrei vantarmi di più. Ma il pavone non mi viene. Potrei iscrivermi a un corso di pavoni e imparare l’arte necessaria dello specchietto. Che non sa riflettere però la bellezza (almeno) esteriore di alcuni fallimenti che sanno di libertà, orecchie ancora aperte e fantasia ben allenata. Guarda il giocoliere, sa fare ciò che oggi serve di più, roba fuori dai campionati del consumo. Roba inutile, meravigliosa. Il prossimo lavoro, com’è già successo altre volte, conterrà di certo anche questa meraviglia: la dignità paziente dei giorni e delle settimane di maggese. Quando sembrava che facessi solo palleggi di testa e invece impedivo al mondo di cadere a terra.

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