Bianco

Voglio comprare un vestito di lino bianco. Voglio un vestito di lino bianco e dei sandali scuri. Voglio essere sottile. Senza cappello, testa lunga e misura larga addosso, voglio andare al molo. Passeggiare nel vento che mi fa le pieghe. Voglio come un foglio bianco aprire porte da qui al mondo capovolto. Camminare sfiorando le cime, al becco irregolare dei natanti. Ci saranno gatti, occhi lontani, segreta urgenza della mia sfilata – nessuno saprà quant’è necessaria ma tutti avranno aria dalle porte aperte. E gli parrà normale. Non so ancora se uscirò dal quadro marino o se il mio regalo bianco rimarrà aperto per sempre, anche senza me dentro il vestito. So che voglio sulla pelle un grammo di carezze disordinate dal vento, le voglio ospitare in quel vestito di lino bianco, le voglio per dare agli altri un fiato e un respiro. Mentre cammino.

Vite al limite

Siamo tornati ieri da una settimana al mare, sull’altro versante dell’isola. Mi mancano il silenzio e la vicinanza della nostra camera alla riva: di giorno, possibilità sempre aperta di fare un tuffo; di notte, ninnananna di spuma sotto le stelle. Ma questa casa di città in cui siamo tornati, in fondo, è una delle più vicine di Palermo al mare, benché la Cala sia interdetta ai bagni e certo silenziosa solo prima dell’alba. Appena arrivati qui, a febbraio, a ogni stretta di timore per il futuro imminente mi rifugiavo nella possibilità di controllare dal balcone le navi che ogni giorno vanno e vengono da Napoli o Genova. Questa visione – sentivo – mi ridarà sempre in bocca il gusto di essere appena arrivato e di restare in uno dei punti di questa città idealmente più “vicini” a Roma, non mi farà mai dimenticare la sensazione di avere le spalle ancora leggere e, se ne avrò proprio bisogno, asseconderà l’illusione di poter prendere il largo allungando un passo sul ponte della nave. Anche durante la quarantena, nel silenzio immobile del porto, ogni sabato a mezzanotte si muoveva il traghetto della GNV, bucando l’idea di essere tutti in gabbia e aprendo misteri sulla sua attività inconsueta. È la fortuna di chi vive al limite, non per collaudare le possibilità estreme del corpo, ma rubando invece qualche sogno a uno scenario di confine, zona molle del paesaggio che vive di transiti. Stasera mi affaccio sulla piazza e mi chiedo: di cos’è fatta la bellezza dei tuffi non programmati, cosa fa scattare la meraviglia delle ninnananne marine? La permeabilità dell’ambiente, forse, e il ricamo possibile di un segreto: caratteri di ogni vita al margine. La spiaggia, così, è lontana; il silenzio è una chimera. Ma ho in tasca un po’ dell’oro che lùce sull’altro verso dell’isola.

Il creato

Ti piace, l’albero, verde? Ti piace, il cielo, azzurro? E il mare, ti piace liquido? Ogni cosa ti presento e ogni domanda è sincera. Figlio, con te alla finestra, ignoro l’impotenza del mio capriccio e il fatto che le cose sono già date prima del nostro arrivo. Te lo chiedo con tutto me stesso: ti piace, l’albero, verde? Ti piace, il cielo, azzurro? E il mare, ti piace liquido? Tu metti la bocca a forma di mondo per lo stupore e sorridi ogni volta per dirmi che tutto ti piace com’è. Ma la durata dei tuoi esami toglie il fiato. Potresti dirmi anche di no, metto vero in conto che potrebbe non piacerti una parte del creato e io mi darei a cambiarla, sicuro di riuscire. Ti chiederei solo un po’ di tempo. Andrei alla fucina del monte che ribolle, fonderei la materia e ti farei di nuovo una domanda per ogni cosa e così, avanti, finché l’esame dei tuoi occhi non finirebbe in un sorriso. Ti piace, l’albero, azzurro? Ti piace, il cielo, arancione? E il mare, ti piace come vola il mare? Vedi piccolo, ti direi, è stato sempre tutto così.