Senza andare nei boschi, senza abitare nei boschi e dormirci la notte, senza essere una bestia che insieme vigila e dorme nella tana – fuori è l’orchestra furtiva dei fruscii predatori – senza nemmeno abitare in una campagna isolata o ripararsi tra i ruderi di un paese fantasma sotto le stelle, si può sentire la paura, si può vivere la paura nella camera di una casa in centro città, lo stesso abbandono a sé stessi, la stessa incognita sul domani e la violenza in agguato dell’unica vera comune condizione dei viventi: la precarietà. Nascondi il filo meglio che puoi, un giorno lo troveranno comunque e non sarai più appeso, tenuto voluto sentito nutrito cullato. Dov’è il sorriso, dove l’abbraccio, dove la rassicurazione, dove il calore che ci faceva chiudere gli occhi sottraendoci alla notte? Siamo nella notte adesso, si deve scegliere come affrontarla. Il meglio è quando riesci ad accendere un fuoco. Più spesso sono solo occhi aperti al buio nell’antro o stretti sugli alberi in sospeso.
mi sbalestri Marco per la precisione dei tuoi occhi. Ma: che ti è successo?
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forse non è necessario che accada qualcosa
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carissima regi, si accumulano frammenti miei e altrui che ogni tanto confluiscono in apici del genere. poi (spero) passano, accidenti a me che vivo il sole ma anche tutte le intemperie delle antenne sui palazzi.
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