Tenerezza

Nel 2007 attivai il google alert per la stringa jorge luis borges. Da allora ricevo mail quasi ogni giorno coi link alle citazioni web dell’autore su cui feci la tesi di laurea. Volevo restare sempre aggiornato, per trarre spunti utili a convertire quel mio lavoro in un testo meno accademico da proporre a un editore. Sono passati quindici anni. Ancora oggi, quando arriva l’alert nel flusso di nuovi messaggi, penso alla fiducia che mi spinse ad attivarlo; penso con tenerezza al ventiseienne che non voleva fare il giornalista – quale già ero – ma lo studioso e lo scrittore; penso al sorriso metafisico con cui Borges avrebbe commentato l’infinità di sue citazioni, perfetto ricalco e simbolo della babele che lo aveva mosso a scrivere tanti racconti e saggi. Il mio fiume è passato senza sosta da allora, ha cambiato più volte la stessa conformazione del paesaggio, tra lunghe secche e piene improvvise, levigato molti sassi e alimentato faune diverse, nelle curve della mia vita personale e professionale. La stringa jorge luis borges rimane ancora attiva però. Passerà qualche altro anno così, altra acqua sotto i ponti e forse un giorno, seduto su una panchina davanti al fiume, incontrerò il me stesso ventiseienne: cosa potrò dirgli, a parte che si tratterà di un sogno, per tranquillizzarlo? Cosa mi chiederà, avendo in risposta soltanto l’enigma dei miei sorrisi? Cosa chiesi a me stesso, senza nemmeno sapere chi ero?

Aspetto un bacio

Sul caro monte degli ulivi, dopo la cena, mi allontano dagli altri a un tiro di sasso e l’angelo mi viene di conforto. Nella lotta il sudore, in ginocchio, somiglia a gocce di sangue che cadono per terra. Mi rialzo, torno dagli altri e li trovo che dormono tutti per la tristezza. Tra stanotte e domattina è il potere delle tenebre, vestiranno di porpora le mie parole e non mi crederanno. Eppure, anche nel cammino feroce da qui al Cranio, i miei gesti daranno luce alle vite di alcuni. Malco da stasera si chiederà come ho fatto a risanargli l’orecchio mozzato dalla spada di Pietro; Pietro scaverà col pianto amaro la parte più umana di sé; Erode smetterà la sua lunga inimicizia con Pilato; Pilato troverà in me un riflesso alle sue domande sulla verità; Barabba non pagherà per la sua rivolta contro il potere e vivrà pensando all’omicidio commesso; Simone racconterà al figlio e in futuro ai nipoti di aver retto, tornando dai campi, la croce ingiusta di un profeta; uno dei miei compagni appesi al legno sarà il mio primo fratello in paradiso. Come vena di miniera il mio oro brillerà nello scuro delle carni lacere, fino all’ultimo fiato davanti agli occhi di mia madre. Ma ancora è presto, e sapere tutto questo in anticipo, anzi, rende la pena un macigno molto più grave. Ancora aspetto insieme ai grilli, ancora per poco. Aspetto un bacio.

Reggere

A volte è il soffitto che tiene le colonne. Non so chi mette questa frase nel mio orecchio. Sto ammirando il soffitto del portico di santa Maria in Trastevere. Mi giro verso un noto giornalista palermitano, la sua smorfia di impotenza, lontano, a destra, come a dire non è colpa mia, è il mio lavoro. Ha appena fatto la cronaca di un abbandono: mio suocero, patologo, ha lasciato un caso assegnatogli dal tribunale. Eccolo, sospeso all’altezza della mia fronte, gambe incrociate, sembra seduto sull’aria. Indossa una camicia da notte bianca a scacchi blu scuri e mi guarda dall’alto in basso. Gli dispiace molto per com’è andata, che abbia mollato. Non l’ho mai visto così esposto, sincero, indifeso. Lo tranquillizzo: non potevi fare altrimenti. È come se ti avessero detto noi non ci fidiamo, gli dico, e tu avessi risposto allora arrivederci, di che stiamo parlando? Domenico posa su di me l’espressione più ricca nuda e diretta che io abbia mai ricevuto, adulto da un altro adulto. Dritto negli occhi. Il suo volto è gratitudine e consolazione insieme. Mi ringrazia perché l’ho sollevato da un peso; mi conforta perché sa che manca tanto a tutti. Quello sguardo mi riempie di calore, mi nutre, mi dà una serenità che basta a farmelo sentire presente per tutto ciò che conta, grande aiuto per me e sostegno per tutti noi. Si china lentamente per abbracciarmi la testa, non smette mai di chinarsi fino alla fine del sogno, mentre sento di nuovo la frase. A volte è il soffitto che tiene le colonne. Non è lui a dirla: non ha mai aperto bocca. Forse è la sua faccia, penso. Subito dopo mi sveglio e il giorno intero sa di questo.