Un ricamo

Poesia è fare, a volte è dare parvenza di senso al caso, non restituendone i tratti vivi e nitidi ma come ricamando il profilo della sua ombra. Suggerire che qualcosa possa avere senso, un senso non visibile ma tanto solido e presente da schermare il sole a terra in arabeschi. Così oggi ritrovo su un vecchio quaderno un esercizio di quattro anni fa. Avevamo segnato in colonna le iniziali del nome delle persone sedute al tavolo, con la pretesa di imbastire un acrostico. Questo, il mio risultato: Ammettiamo Noi Le Cose Tonde: Se Dico “Luna” Si Muovono Ricamanti Fate Alla Marina. Eravamo quattordici intorno al tavolo. Non ricordo se io corrispondevo all’indicazione muovono o alla finale marina.

Lidl

Io quando non c’è niente che può più rendervi felici e ormai è pomeriggio vi dico di prendere l’auto e andare a fare la spesa della vita, quella per riempire la dispensa, i cosiddetti rifornimenti. Tornerete a casa, meglio se dopo avere cercato posteggio per un po’, con un senso di riempimento – se non altro visivo – della metaforica pancia che prima era vuota e dava più eco all’infelicità. Adesso che la spesa è fatta siete pieni di una cosa indubbiamente utile, avete fatto una cosa pratica, avete riempito il tempo pensando a un bisogno primario e non agli astratti furori che vi infelicitavano. Avete avuto, poi, la tacita conferma di disporre ancora di un po’ di soldi nel conto, almeno quelli utili a non essere infelici per motivi “ultimi”: conferma periferica di avere ancora una casa da raggiungere, un frigorifero da riempire, una cena a cui pensare, dei gesti fisici e una cura del tempo (se non altro quella dei tempi di cottura) in cui concentrarvi, mentre piano arriva la sera e l’ora di andare a dormire. Questo è un uomo, penserete con la testa sul cuscino ricordando un doloroso allarme sui minimi estremi della dignità umana: io sono un uomo, io sono una donna. La dignitosa conferma farà evaporare gli ultimi fumi degli astratti furori. La notte, sognerete una forma qualunque di ringraziamento.

Torri

I bambini fanno le torri e noi pensiamo che il motivo sia fare ogni volta quella più alta. Il motivo invece è farle cadere. I bambini fanno le torri per farle cadere. Più alta è la torre, più clamorosa la caduta. Quanto sono devoti alla vertigine! Quanto riescono a fidarsi del superamento dei loro limiti! Cadere a terra mentre si procede in equilibrio su un muretto non li dissuade dal rifarlo; sbattere la testa sotto il tavolo non gli impedisce di chinarsi e farci un’altra casa tra le gambe; rovinarsi la gola per una questione di principio non li scoraggia dal gridare in lacrime altre volte. E parlare parlare parlare non per avere risposte ma sempre per questo: mettere alla prova il mondo e loro stessi, facendo domande, spacciando bugie. Dovrò ritrovare il gusto per la caduta, la perduta mia devozione per la vertigine, l’ardimento fantastico a scapito della testa, il rischio di mutismo per qualcosa in cui credo. Di nuovo.