Senza volto

Ho il corpo stretto in una rete di corde. Fra ottocento anni mi troveranno, mi chiameranno la mummia “senza volto”. Sono morto senza sapere nemmeno cos’è l’impero Inca, nel tempo a cui daranno una misura legata a un prima e un dopo che non conosco. Conosco la mia terra, tra la costa del mare e le montagne aguzze del dio. Mi troveranno in posizione fetale, le mani a coprire il volto, perché è così che noi seppelliamo i fratelli. Mi faranno esami usando magie che non immagino nemmeno per capire a quanti anni sono morto. Non gli servirà certo a intendere come ho vissuto. Troveranno anche queste ceramiche e queste pietre nella tomba scavata dai miei per nascondermi infinite lune. Un mio simile, con cui non so concepire altro legame che i nostri occhi quando guardano il mare, le piante o il cielo, proverà a viaggiare fino a qui e a questo momento risalendo il fiume del tempo, con la fantasia e l’aiuto dei suoi dèi, allontanandosi dal suo tempo per vederlo con la pietà che si deve a un giaguaro tormentato dai suoi stessi morsi. Mi vedrà in tutto lo splendore dell’essere ancora nel suo istante vivo e vero, ancora aperto.