Luna quasi piena contro l’azzurro terso della sera sul bosco davanti casa. Il sole basso taglia la superficie della roccia ancor più su esaltando facce di pietra rosa e alterne conche buie tra uno scheggione e l’altro del gruppo Sella. Gli uccelli in coro volano a spirali sui tetti di legno e ardesia dei granai. La luce continua a salire, toccherà alla croda lontana di un’altra valle il premio dell’ultimo sole dolomitico. Da qui si assiste alla danza dei sassi immobili che girano intorno alla nostra stella. Il vento oggi ha dissolto i banchi nebbiosi da tutta l’alta badia aprendo la vista all’innumerabile famiglia che brillerà stanotte sui sentieri di nuovo tornati alle bestie. Cervi, caprioli, camosci, scoiattoli, marmotte, alpaca, antilopi e altre forme viventi suoneranno i loro passi nella cavea dei larici che abbiamo attraversato stamattina – siamo scesi dal sasso della croce bevendo i ruscelli sulle canalette ricavate dai tronchi prossimi ai mulini in disuso. I camini qui fumano anche d’estate e sono le cucine dei vecchi rifugi che preparano ricette antiche per la cena dei camminatori. Il termometro è sceso sotto i quattordici gradi e prima di uscire all’aperto si beve un brulé di mele. Nessuno, pare, disturberà mai le esatte successioni di questo reame.
montagna
Ere
L’alta montagna nel rigore della sera fuma lenta di nubi e foschie. La danza del vento che tra guglie e crepacci fischia una musica impossibile da sentire in balcone, ma sicura adesso – com’è sicura la vita dei nostri cari altrove, adesso – copre e scopre nei suoi capricci la ciclopica roccia nera e i boschi che ogni anno veniamo a trovare d’estate, per fuggire il caldo impietoso della pianura. E so che il paesaggio non è immune allo scorrere del tempo. Il ghiacciaio della Marmolada si è molto ristretto negli ultimi decenni: che sia frutto di questa nuovissima era, l’antropocene – in cui per la prima volta è l’uomo a incidere sulla natura – o semplice esito scultoreo del tempo che passa da sempre, capisco che è sciocco essere invidiosi dell’apparente immutabilità degli esseri inanimati. L’albero invecchia come invecchia la mia pelle, solo è necessario più tempo di quello sufficiente a scavare le rughe sui volti degli uomini. Le stelle nascono, ardono, poi si spengono e certo non per effetto delle azioni umane. Il movimento, il passaggio delle cose non risparmia niente ed è in questo che posso dirmi fratello dei larici e delle ghiaie, dei canaloni e delle cenge, di queste dolomiti che un tempo erano un arcipelago corallino sotto le acque e adesso, la sera, fanno tremare i fiori di campo e le erbe sotto i tenebrosi scheggioni e le torri inaccessibili. Come il mistero democratico del tempo che avanza a passi discontinui e si dà senza maschera solo nella musica – anzi, nella musicalità – che è il suo ambito, come la spazialità lo è dei corpi, e la visibilità delle presenze, e l’anima di tutto ciò che respira.
Catalogo
Forse uno dei momenti più felici dell’anno, per chi può vantare la puntualità della sua ricorrenza, è la gustosa scelta dei libri da portare in montagna e farci l’amore al ritorno da una passeggiata o nelle ore costrette in casa da un temporale. Sarei felice un giorno di entrare come autore in questo intimo catalogo di chi parte in estate per i boschi, in cerca di aria più fresca e pulita. Quest’anno il mio elenco annovera il fosco Cesare Pavese (La bella estate), il silvestre Dino Buzzati (Bàrnabo delle montagne), in costante compagnia alata con Giacomo Leopardi (Canti) – per parlare degli scriventi nella nostra lingua. Loro infatti staranno in valigia accanto a Thomas Mann (La montagna incantata), Marguerite Yourcenar (Fuochi), in costante compagnia alata con Maria Zambrano (Chiari del bosco). Perché ci sono libri da leggere o da finire di leggere, e poi ci sono libri inconsumabili, le compagnie alate che ardono di presenza, i vecchi maestri diventati ormai cari amici a cui tornare, sicuri di trovare conforto e – nelle stesse pagine – sempre nuove chiavi di lettura. Nulla di nuovo, lo so. Ma che gioia: esagerata.