Voglio di più

Limerò elegie oniriche negli apolidi recinti di Orfeo. Dirò il tuo nome in versi senza fartene accorgere e, giocando, inventerò orizzonti nuovi, adamantini. Ordinerò le idee volando in altalena e ridesterò i cuori come aulente rosa delle origini. Perché voglio di più. Voglio chiedere di più alle parole, le voglio fatte di lettere magiche di una magia che mi attraversi e poi sfugga al mio controllo. Non lo voglio il controllo, il controllo è il male, è l’illusione peggiore. Allora, alleverò delicati agapanti in attesa del miracoloso angelo e del tuono tropicale – entrambi operosissimi. E mai sazio, rifarò tutto da capo: addestrerò liriche in celesti evoluzioni e, fulmine rapido a nord, cavalcherò elegante sulle cicale ottobrine. Mescolerò albe rubando tanti acquerelli per luminare una cava apollinea dove metterò alle rose in amore spine ovattate lasciando che esistano. Che esistano, tutte. Giuro, a balzi romperò insidie ereditate libando elisir per guidare incontri dove rideranno gli innamorati acerbi. Gestendo tali oneri raccoglierò gigli incantati ovunque e, ancora di più, muoverò alzaie recitando canti oceanìni. Se non dovessi riuscire in niente di tutto questo, so per certo che farò almeno una cosa: aprirò nidi nelle aurore musicando alle nude fate ricami eufonici di infinito.

Di sismi

Quando ho un terremoto di carne e le viscere mi tremano fino alle braccia sulla scrivania, guardo sempre in alto, naso al lampadario per vedere quanto è bravo lui a stare fermo appeso e di carta: non respira e pure dà luce a comando la sera, come nessuno che tremi di vita propria sulla vita grave della terra è mai capace di fare, incrinato da un buio a mezzogiorno o aperto di sismi la notte.