È da un po’ che il tempo siamo noi due, io col naso all’antico vespro sui fori romani, tu occhi guardiani di bosco al centro del petto. I numeri per noi si sono perduti e i calendari passati sono ombre soltanto del nostro gioco, variante in primo piano o di sottofondo al resto, fatto credendo pure di essere soli. Non c’è falsità più grande della solitudine per noi. L’innesto che ci ha generati ha fuso l’impossibilità di stare insieme con l’istinto di appartenerci oltre ogni certezza. Gli umani dicono oltre ogni dubbio, in questi casi. In me e te, invece, la statica certezza di amarci per sempre è stata uccisa fin dall’inizio dall’assurda voglia di amarci per sempre. La voglia, non la certezza, ha trasformato per noi il tempo in giochi e sorrisi reperibili a ogni altezza del passato: abbracci e smorfie con tagli assurdi e ogni colore di capelli, cene e gite vestiti a regola sulla moda di turno, compleanni e funerali insieme su tutti i metri della luce e del buio. Ha smesso il tempo di farci correre intorno: adesso e chissà da quanto siamo noi a farlo ruotare. E lui cade al nostro centro, dov’è attrazione invincibile continua. Che rendersene conto e dirlo fa quasi paura.
Pensai all’inizio che il testo fosse troppo ermetico, meglio che fosse troppo pieno di argomenti solo accennati. Sbagliavo, un sentimento del tempo e dei rapporti umani amorosi non poteva che essere espresso così: senza confini precisi ma con l’alibi indispensabile di certezze assolute.
Avrei voluto scriverlo io che ho vissuto appieno la dimensione che tu chiami ” solitudine di noi”. Trovarla sciorinata qui mai ha lasciato incredulo ma ammirato.
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“Senza confini precisi ma con l’alibi di certezze assolute”, bellissima definizione.
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