C’è stato molto caldo ieri e oggi nel grande fuori. Ho dato acqua al nostro verde finché l’imbrunire non ha fuso le piante col bordo delle aiuole in un tutto di immobile incanto. Nessun vivo ricorda chi fu a comprare i tubi sparsi ai margini della scalinata o nei vari giardini: potrebbero stare qui dall’invenzione del cielo. Intanto il sole li ha scoloriti prostrati e spaccati, e nel rito lento mi sono schizzato fin sotto i piedi. Prima di rientrare in casa sono tornato bambino, ho sentito mie le urla di nonna che rimprovera nonno di portare il fango dentro. Rivedo le unghie all’insù dei suoi piedi e il laccio che gli tiene le braghe arrese alle tarme degli armadi. In questi giorni ho fatto anche altro in linea col nono mese: ho sistemato i libri del bisnonno, mi sono fatto tagliare i capelli da mia madre e ho riparato la cara vecchia sedia di lacci. Settembre è il meglio per decifrare le grafie sottili dei biglietti lasciati in mezzo alle pagine; per dire addio a legami che poi ritornano; il meglio per sentirti parte di una storia iniziata prima che nascessi. E seguire tante domande nel sospeso dei giorni a cui nessuno osa dare più il nome di estate.